La storia

L’aceto balsamico, o meglio gli aceti balsamici (perchè sono tre, l’aceto balsamico di Modena, l’aceto balsamico tradizionale di Modena e l’aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia) sono la più alta espressione della fermentazione acetica, quella che – un tempo considerata alterazione di un vino – porta alla trasformazione di un liquido alcolico in un liquido acetico, fortemente caratterizzato da un profumo ed un sapore precisi. Utilizzato, fin dai tempi antichi, pare che il balsamico discenda direttamente dall’utilizzo che gli antichi Romani facevano del mosto concentrato: lo scrittore Apicio, nel suo De Re Coquinaria, descriveva addirittura diversi tipi di mosto cotto, a seconda delle diverse caratteristiche e metodi di preparazione, che venivano utilizzati in cucina. Il tipo pi celebre era certamente il “sapum” (oggi ancora conosciuto in alcune zone come “Saba”), un mosto cotto e concentrato che veniva dato in dotazione ai legionari, in piccole borse di cuoio, per l’utilizzo come “bonificante” dell’acqua che essi erano costretti a bere durante le campagne militari. Ebbene, fu proprio il “sapum” che, nelle zone padane intorno al fiume Po, dimostrò la ben strana attitudine di fermentare, se lasciato all’aria, generando non un vino bensì un liquido acetico, dal sapore agrodolce, che venne subito ben gradito dai palati locali, ed adottato in cucina.
Ben poco si sa dalla storia di questo condimento nel lungo intervallo di buio che seguì alle imprese romane: certo è che l’arte di fare l’aceto balsamico (allora certo non veniva chiamato cosi’) si radicò fortemente nei territori matildici, vale a dire le terre oggi corrispondenti alle province di Modena, Reggio e Mantova, che devono il proprio nome a Matilde di Canossa. E che il prodotto fosse gradito e particolarmente pregiato ce lo dicono i documenti storici: si rifà al 1046 la testimonianza dello storico Donizone che Bonifacio, padre di Matilde di Canossa, su specifica richiesta dell’ Imperatore Enrico III, mandò a Piacenza una botticella di aceto balsamico (“quell’aceto che Voi fate specialissimo”). E non la mandò così, semplicemente: il prodotto fu inviato su un carro trainato da buoi, contenuto addirittura in una botticella d’argento massiccio. Si racconta anche che il visconte duca di Mantova, Alberto, subordinato a Bonifacio nella scala del potere di allora, per bilanciare l’importanza del dono del suo superiore, inviasse allo stesso imperatore centinaia di cavalli bai con i relativi finimenti.